Metodologie Attive vs Lezione Frontale: di Cosa Ha Bisogno La Scuola?

L’attuale situazione della scuola italiana sta vivendo un interessante momento di transizione. Da un lato il ricambio generazionale dei docenti sta portando in cattedra insegnanti sempre più giovani, sebbene l’età media dei docenti italiani resti una delle più alte in Europa, dall’altro il Miur col Piano Nazionale Scuola Digitale sta dando un notevole e meritorio impulso alla formazione in servizio.

Sullo sfondo ci sono i cosiddetti “nativi digitali”, ossia quei giovani che, nati nel nuovo millennio, utilizzano quotidianamente le tecnologie, seppure molto raramente in modo consapevole ed efficace. A queste nuove generazioni si rimprovera spesso una bassa attitudine al ragionamento astratto e si imputa loro uno scarso mantenimento della concentrazione per più di qualche minuto.

È davvero così avvilente il quadro? Oppure è il metro di analisi che falsa il giudizio? In altre parole: siamo davvero convinti che sia opportuno misurare le competenze, ma pure abilità e conoscenze, degli attuali studenti con strumenti di misura “novecenteschi”? E siamo sicuri che il “milieu”, l’ambiente socioculturale in cui sono inseriti i cosiddetti “nativi digitali” non li spinga, talora quasi inevitabilmente, ad un tipo di ragionamento meno simbolico e più reattivo?

LO SCENARIO CULTURALE DEI “NATIVI DIGITALI”

Vediamo lo scenario culturale degli studenti nati tra gli anni ’70 e ’80: costoro, alcuni dei quali oggi probabilmente docenti, erano assolutamente meno esposti, rispetto alle attuali generazioni, ad un “regime iconografico” così pervasivo e costante come quello odierno; allo stesso tempo essi avevano strumenti di formazione ancora essenzialmente legati al paradigma lineare del libro di testo; infine erano dotati di un immaginario meno “colonizzato” dalla signoria dell’autorappresentazione social, in altre parole erano meno esposti al giudizio esterno che non fosse quello dei loro pari “reali” e non “virtuali”, vivevano cioè in “piazze reali”, decisamente meno popolate di quelle attuali tipiche dei social network.

Pensiamo che tutto ciò non abbia inciso in modo irreversibile sui loro pattern mentali?

Quello che spesso si finge di non capire è che internet ha cambiato in modo radicale, irreversibile e velocissimo un sistema culturale che, sotto certi aspetti, era fermo da decenni se non da secoli. È successo quello che è accaduto con la stampa, ma con la differenza che è avvenuto in un poco più che un decennio. Noi docenti non possiamo non considerare questo fenomeno ogni qual volta entriamo in classe a tenere una lezione. Ed eccoci arrivati al punto nodale: può, in questo scenario, la lezione frontale ancora sopravvivere? Certo, ma solo se affiancata ad altre strategie che possiamo chiamare “metodologie attive”.

COSA SONO LE “METODOLOGIE ATTIVE”

Per “metodologie attive” si intendono quelle strategie didattiche che mettono l’alunno al centro del proprio processo di apprendimento, coinvolgendo la sua creatività e il suo senso di iniziativa, non prescindendo naturalmente dai contenuti curricolari. Una classica lezione frontale, al contrario, mette al centro non lo studente ma i contenuti o, peggio ancora, il docente medesimo. Essa non stimola la creatività dei ragazzi che, per quanto affascinati, non hanno che un ruolo passivo all’interno di quel contesto didattico. Le “metodologie attive”, al contrario, richiedono una partecipazione diretta dello studente, mediante attività che il docente di volta in volta individua come formative.

 

metodologie attive

 

ESEMPI DI “METODOLOGIE ATTIVE”

Un esempio può essere la “classe capovolta”, nella quale gli alunni, dopo aver visionato dei materiali didattici a casa, di norma dei video, lavorano in classe su attività predisposte dal docente. Altro esempio può essere il “digital storytelling”, al cui interno gli studenti sono chiamati ad inventare una storia la cui stesura, senza dubbio, deve mostrare lo studio di contenuti disciplinari (ad esempio la vita di un autore o di un personaggio storico), ma al contempo invita gli studenti ad immaginare scenari di “fiction” di loro invenzione.

Facciamo un esempio: la spedizione in Gallia da parte di Giulio Cesare.

Questo contenuto può essere spiegato tramite lezione frontale e richiesto dal docente in modo altrettanto frontale e senza il minimo apporto di creatività da parte dell’alunno. L’insegnante, in questo caso, non può che valutare il grado di “ritenzione” dei contenuti che lo studente mostra, difficilmente avrà modo di vagliare, ad esempio, alcune competenze messe in atto dagli studenti.

Altro esempio di “metodologia attiva” può essere il “problem based learning”, l’apprendimento cioè basato su problemi.

In questo scenario agli studenti è consegnato un problema la cui risoluzione in parte fa leva su contenuti disciplinari noti, in parte su contenuti che, durante la risoluzione medesima, col supporto del docente, gli alunni da soli o in gruppo costruiranno. Il vantaggio di questa, come di altre “metodologie attive”, è che non esiste un modo univoco per rispondere al problema dato, ma una molteplicità di soluzioni, alcune più alcune meno efficaci ovviamente, che gli studenti possono trovare. In un contesto di tal genere anche l’errore diviene significativo poiché esso, lungi dall’essere la cosa più grave che uno studente possa commettere, diviene semplicemente una strada meno efficace o per nulla efficace per rispondere ad un contesto formativo.

Ulteriori “metodologie attive” possono poi essere: apprendimento cooperativo, apprendimento tra pari, dibattito, gioco di ruolo e apprendimento situato. In comune esse hanno: centralità dello studente, risoluzione molteplice degli scenari didattici proposti e infine valutazione e autovalutazione durante tutto il processo, quindi non solo al termine e non solo da parte dell’insegnante.

QUALE IL DESTINO DELLA LEZIONE FRONTALE?

Con ciò non si vuole lasciare intendere che la lezione frontale sia da abbandonare, ma semplicemente crediamo sia giunto il momento di circoscriverla ad un limitato numero di contesti didattici, e non innalzarla dunque al rango di “strategia regina” al cui cospetto le altre o scompaiono o ne divengono ancelle. Indubbiamente la lezione frontale può risultare ancora molto proficua, ma solo se affiancata ad altre soluzioni didattiche; riteniamo del resto che gli studenti possano essere meno annoiati da un’ora di lezione “attiva” e più partecipi del proprio processo di apprendimento.

D’altro canto è onesto dire che non tutte le “metodologie attive” siano consone a tutti i contesti; ad esempio l’apprendimento cooperativo è poco adatto ad affrontare problemi di immediata soluzione; la classe capovolta è meno efficace se si basa su video legati ad argomenti particolarmente complessi che richiedono continue precisazioni da parte del docente; il digital storytelling poco si addice a discipline marcatamente tecnico-scientifiche (sebbene non sia impossibile utilizzarlo in tal senso).

In definitiva possiamo sostenere che ogni argomento, ed ogni contesto classe, ha una strategia più efficace di altre, sta al docente e alla classe scegliere di volta in volta quella più idonea. Senza dubbio proseguire ciecamente col metodo frontale porterà a sempre più scarsi risultati e ad un sempre più evidente calo dell’attenzione e della motivazione in classe.

IN QUALI GRADI DI SCUOLA INTEGRARE LE “METODOLOGIE ATTIVE”?

Le “metodologie attive” sono storicamente e proficuamente implementate, in Italia, specialmente nella scuola dell’infanzia e primaria. Tendono invece a passare in secondo piano nella secondaria di primo grado fino quasi a sparire in quella di secondo grado, specie nei licei. Ed è proprio in questi contesti che tali metodologie andrebbero incentivate e promosse. Pensiamo, ad esempio, a quanto potrebbero trarne giovamento discipline che, negli ultimi anni, hanno subito un “apparente invecchiamento” dovuto in particolare all’antiquato modo di insegnarle: la filosofia e le lingue classiche. È ancora possibile insegnare la materia di Platone come avveniva 20 anni fa? Per altro con un numero di ore settimanali spesso diminuito? O sarebbe più opportuno, e forse più avvincente, studiare la disciplina “per problemi”? Per altro avvicinandosi alla prassi che, millenni fa, ha fatto nascere la filosofia medesima? Non sarebbe il caso di farla di nuovo “rinascere” dalla “meraviglia”?

Piuttosto che impartire uno schematico quanto noioso catalogo di filosofi, non sarebbe più motivante porre problemi, lasciarli dibattere ai ragazzi ed infine presentare le soluzione che, nel corso della storia, sono state date dai singoli pensatori? Oppure pensiamo al latino e al greco: è ancora possibile che la prova di verifica standard sia sempre una “versione di traduzione”? Perché non pensare a strategie diverse, come ad esempio il metodo “natura” oppure l’apprendimento per problemi. Il modo migliore di salvaguardare tali discipline, oggi, è solo e soltanto quello di innovarle, nel profondo.

CONCLUSIONI

Questo sguardo generale sulle “metodologie attive” aveva l’obiettivo di iniziare a mettere in crisi un modello collaudato, ma forse antiquato, quale la lezione frontale. Superare tale approccio non è facile, significa per i docenti abbandonare un luogo rassicurante ed ospitale, ma forse deserto, per intraprendere un cammino complesso in direzione dei nostri alunni, che oggi abitano spazi culturali completamente diversi dai nostri. La sfida è epocale, e non saranno le tecnologie in sé a risolverla, al limite potranno indirizzarla e supportarla, ma solo a patto che restino un mezzo e non un fine del nostro insegnamento.

 


Autore articolo
Design Didattico

Emiliano Onori

Docente e Formatore

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3 commenti su “Metodologie Attive vs Lezione Frontale: di Cosa Ha Bisogno La Scuola?”

  1. Bellissimi….sia i concetti espressi,sia l’utopia……!!!!!!!Magari,tra una decina d’anni….ma oggi….?????Che strumenti ha realmente un docente????La scuola italiana NECESSITA SOLO DI COERENZA,SERIETA’CONOSCENZA E RESPONSABILITA’..!A partire dalMIUR.ovviamente,fino alle famiglie degli alunni di tutte le scuole di ogni ordine e grado!!!!Ed invece,troppo spesso,non è così!!!!

  2. Aperto ad ogni metodologia, ma mi sconcerta sempre che nessuno si preoccupi di valutarne l’impatto e i risultati (né delle vecchie né delle nuove). Noi invariabilmente arroccati nel mondo delle opinioni, ma poi i test universitari, gli esami e i colloqui di lavoro li fanno i “prodotti” di queste metodologie. E se fossero inefficaci?

  3. Il problema è che se si continua a discutere sulla necessità di utilizzare anche altre metodologie di insegnamento/apprendimento, senza acquisirle concretamente, non possiamo verificarne l’efficacia, la validità e i risultati. Penso che questa innovazione potrà avvenire solo con la formazione di tutti gli insegnanti, altrimenti si continuerà a discutere del problema senza risolverlo, demandado il tutto alla sola testimonianza di pochi insegnanti: che sono una goccia nel deserto.

    ve

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