Mettere un Bambino Davanti a una LIM Significa Isolarlo dal Resto della Classe e la LIM non Serve a Questo

Prova a spiegarmi come usi la LIM in classe

La prima volta che mi hanno fatto questa domanda era il 2005 e non la chiamavo ancora LIM, ma con il nome della marca. Qualche anno dopo, quando il Ministero ha deciso di finanziare la diffusione di questa strumentazione sul territorio nazionale, mi sono resa conto dell’errore.

Nel frattempo, ne ho viste di tutti i colori: i primi bambini che allargavano gli occhi ed esclamavano “Wow!”, quelli che si guardavano la punta del dito per vedere se si era sporcato con il rosso di un programma di grafica. Fino ai miei alunni di adesso, ai quali la LIM non ha suscitato nessuna emozione, segno che Bruner aveva proprio ragione: la tecnologia si fissa alle nostre conoscenze e sviluppa l’intelligenza della nostra specie.

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L’apprendimento cooperativo.

La LIM, innanzi tutto, è uno strumento funzionale alla cooperazione. Non è un concetto immediato e non è scontato. La tecnologia nasce personal e, sostanzialmente, alienante. Mettere un bambino davanti a uno schermo significa isolarlo dal resto del mondo. Ci vuole la fantasia e la tenacia dei docenti per piegare questo strumento nell’ottica della socializzazione delle competenze. Fatta questa scelta, se ne scopre la portata incredibile.

Tutti quelli che utilizzano l’apprendimento cooperativo in classe possono confermare la difficoltà della preparazione dei materiali, il tempo necessario all’organizzazione e la pianificazione del lavoro. Con la LIM e i software giusti, questo problema fondamentale viene superato piuttosto facilmente.

I software giusti.

Possono essere molti, indubbiamente. Anche perché la LIM è -notoriamente- hardware: senza un bel po’ di procedure ben strutturate è un mucchio di plastica e fili di metallo.

Quando si insegna a scrivere testi collettivi con la LIM, lo schermo diventa un grande quaderno condiviso, sul quale i bambini possono provare a buttar giù bozze, possono criticare (nel senso proprio del termine, mi raccomando) il lavoro dei compagni, possono provare a proporre modifiche e soluzioni. Un’attività in cui si alternano momenti di lavoro a gruppi, di lavoro collettivo e di lavoro individuale. Senza rinunciare alla scrittura con penna e carta.

Con questa metodologia, che a suo tempo abbiamo chiamato E.Co.Le. (Electronic-cooperative learning), abbiamo lasciato andare alle medie quattro classi di bambini e siamo stati bene attenti a raccoglierne il feedback.

Incredibile, ci hanno detto i prof. Scrivono tutti benissimo! Non riusciamo a distinguere i bambini di recente immigrazione da quelli nati da genitori italiani.

Per me è importate, è una delle mission che mi sono data; anche perché se va bene per Aziz, va bene per tutti.

Il gusto del software.

La versione costruita da noi docenti antesignani del making è sempre disponibile e funzionante e, se qualcuno la desidera, mi può scrivere una mail.

Ma poi per fortuna è arrivata la Erickson che ha tradotto questa e molte altre idee in software pieni di opzioni interessanti e molto ben organizzati. Quello che conta è il gusto nello sviluppare idee e nel testarle sul campo. Da questo gusto sono nati molti altri progetti (insegnare il metodo di studio, prime attività di lettoscrittura, avviare l’analisi logica, percorsi di lettura) e una sperimentazione che è tuttora in corso.

 


 

Autore articolo

Eva Pigliapoco

Eva Pigliapoco

Insegnante

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I programmi per la LIM sviluppati da Eva Pigliapoco

 

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2 commenti su “Mettere un Bambino Davanti a una LIM Significa Isolarlo dal Resto della Classe e la LIM non Serve a Questo”

  1. Il modello è quello di integrare l’apprendimento cooperativo all’utilizzo della LIM come scaffolding. Il come è ben spiegato nei kit didattici che abbiamo pubblicato per Erickson: Percorsi di scrittura con la LIM 1 e 2. Si tratta di soluzioni pensate come supporto all’attività del docente per la scrittura di frasi e testi, per l’analisi dei testi, per la descrizione, per il racconto anche orale, per la riflessione linguistica….

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