Per Inquadrare il Mondo non ti Basta un Tablet

di Lorenzo Giarelli - dal blog Disperato Erotico Blog

 

“Che facoltà frequenti?”

 

Se la risposta è una tra lettere, filosofia, scienze della comunicazione, scienze politiche o affini, chi risponde sarà abituato a leggere negli occhi dell’interlocutore quell’aria di superiorità per cui millenni di letteratura e di pensiero sono ritenuti carta straccia.

 

In Italia siamo persino arrivati a sentire da un pluriministro che “con la cultura non si mangia”. In generale, è opinione diffusa che economia, informatica, ingegneria tirino avanti la società, accollandosi invece il peso di chi studia divagazioni da strapazzo sulla maieutica, sugli scapigliati e sul quadrato semiotico.

 

Per inquadrare il mondo non ti basta un tablet
Per inquadrare il mondo non ti basta un tablet

 

Bene, spero che chi legge sia istintivamente d’accordo con me: sostenere l’inutilità delle materie umanistiche, nel terzo come nel secondo, nel primo o nel quarto millennio, è da folli o da arroganti.

 

Perché?! Ci sono talmente tanti validi motivi che si fa fatica a sceglierne uno per iniziare.

 

Quando Benigni, ormai tre anni fa, celebrò su Rai Uno la Costituzione Italiana, fece riferimento all’importanza culturale della bellezza. Siamo il Paese fondato sulla bellezza. Camminiamo sulla bellezza, leggiamo la bellezza, siamo circondati dalla bellezza, naturale e artificiale.

 

Certo che l’innovazione tecnologica è importante, ma è legittimo pensare che se non fossero mai nati Meucci e Marconi qualcun altro, magari qualche anno più tardi, magari dall’altra parte del mondo, avrebbe inventato telefono e radio; se non fossero mai nati Manzoni e Leopardi nessuno, mai, avrebbe potuto scrivere così, in quel modo, I Promessi Sposi e l’Infinito.

 

E quante cose ci saremmo persi, anche se forse non ce ne rendiamo conto. Non ce ne rendiamo conto perché la cultura fugge via, sono parole scritte nell’aria e pensieri che volano attraverso i millenni, ma in realtà li abbiamo con noi, ogni giorno.

 

Come si fa a ritenere inutile la filosofia? Una materia che insegna a ragazzi di 16 anni, al liceo, che Achille non potrà mai superare la tartaruga o che spiega le difficoltà dell’uomo che esce dalla caverna in cui era incatenato. Sono concetti talmente rivoluzionari che facciamo fatica a capire, e che magari, da studenti, capita di maledire perché possono sembrare anti-intuitivi. Ma è proprio questa la loro forza.

 

Dubitare! Dubitare, pensare, non fermarsi all’apparenza. Certo che Achille sorpassa la tartaruga, ma perché? Ha ragione Zenone? La filosofia è uno stimolo a scoprire il mondo autonomamente, a fare a pugni con l’ovvio, a criticare ciò che ci è dato per assodato, anche da noi stessi, inconsciamente.

 

Per non parlare delle correnti del ‘900, che riflettono sulla società che ci sta intorno, sulla modernità, sul lavoro. Chi sputa su una materia come questa è pigro mentalmente oppure, semplicemente, non ha capito nulla di che cosa sia la filosofia. E anche studiare la comunicazione, oggi a maggior ragione, non può che far bene. Certo, il modo in cui queste discipline vengono insegnate incide molto sul giudizio che se ne dà, e sta lì forse lo scarto tra chi le ritiene inutili e chi ne ha tratto un guadagno enorme per la propria crescita.

 

In ogni caso, chi si è perso questo piacere sappia che ci sono ottime teorie sulla comunicazione di massa che aiutano ad inquadrare il mondo, ci sono precise teorie sociologiche che ci spiegano come e perché il denaro è diventato il fulcro attorno a cui ruota il mondo, e così via. Forse è un luogo comune, ma le materie umanistiche possono davvero aprirci la mente, nel senso che hanno i mezzi per farci sempre voler andare dietro la corteccia delle cose, ci instaurano quella curiosità cronica che non ci fa accontentare. Concretamente, si imparano l’importanza delle fonti, la verosimiglianza delle parole di chi parla, le tecniche usate per convincerci e gli strumenti per difenderci.

 

Investire in tutto questo è investire in cultura, in bellezza, in capacità critica e di reazione alle difficoltà. Di tutto questo si mangia eccome.

 

Ho scritto che speravo di avere lettori che già la pensassero come me, ma nel caso non fosse stato vero, mi auguro che abbiano cambiato idea almeno un po’, in queste righe. Che l’abbiano fatto o no, non mi resta che fargli notare che hanno entrambi un buon motivo per appassionarsi alle teorie sulla persuasione.

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