Il Piano Didattico Personalizzato e il Mutismo Selettivo

Un nuovo appuntamento con il Mutismo Selettivo, questa volta ho intervistato la Dottoressa Daniela Tagliabue Psicologa Psicoterapeuta, che ci introduce nell’intricato mondo dei B.E.S.

Domanda: Dottoressa con lei entriamo nel dettaglio di quelli che sono gli strumenti che la scuola può offrire per aiutare il bambino con Mutismo Selettivo, prima di introdurre l’argomento “Mutismo Selettivo e B.E.S.”, ci spieghi brevemente cosa sono i B.E.S.

Risposta: I B.E.S. (Bisogni Educativi Speciali) sono quelle particolari esigenze educative che alcuni alunni possono manifestare, anche solo per determinati periodi di tempo, per motivi fisici, psicologici, biologici, sociali e rispetto ai quali è necessario che la scuola offra una risposta adeguata e personalizzata. Essendo un disturbo evolutivo specifico il mutismo selettivo rientra nei B.E.S.

D: Da quando sono “entrati” a scuola i B.E.S.?

R: Si inizia a parlare ufficialmente per la prima volta di Bisogni Educativi Speciali nella Direttiva Ministeriale del MIUR del 2012. In questa Direttiva sotto il termine  B.E.S. sono raggruppati  3 grandi categorie:quella relativa alla disabilità, che si rifà poi alla Legge 104; la categoria dei disturbi evolutivi  specifici, nei quali troviamo ad esempio i D.S.A. (che hanno già un riferimento normativo nella  legge  170 del 2010), altri disturbi come la sindrome di disattenzione e iperattività (A.D.H.D.) o anche altri disturbi che sono codificati con una diagnosi clinica, dei quali fa parte anche il Mutismo Selettivo; infine l’ultima grande categoria comprende tutti quegli alunni che non necessitano di alcuna certificazione, né diagnosi clinica,  ma rientrano in quell’area chiamata svantaggio socioconomico, linguistico e/o culturale, per cui anche questi, pur non avendo alcuna diagnosi clinica, necessitano di un adattamento, una personalizzazione dei percorsi di apprendimento. Per gli alunni B.E.S. non è sempre necessaria una certificazione, dipende in quale categoria rientrano.

La normativa B.E.S. riguarda quei bisogni educativi speciali che possono essere persistenti, come per esempio in una diagnosi di D.S.A., oppure transitori, nei casi in cui la situazione di svantaggio socio-economico, linguistico-culturale si risolva oppure nelle circostanze che vedono la risoluzione definitiva delle patologie, come nel caso del Mutismo Selettivo.

Nei B.E.S. quindi, rientrano tutti quegli studenti che hanno bisogni educativi speciali e devono comunque di diritto, poter accedere alla scuola. È la scuola quindi che deve poterli integrare dal punto di vista pedagogico. BES non è una diagnosi clinica ma una categoria scolastica che definisce la necessità di percorsi didattici particolari.

I Bisogni Educativi Speciali sono uno strumento della scuola, quindi è la scuola che decide se attuare o meno tale normativa, ed è sempre la scuola, tramite il Consiglio di classe, il team dei docenti, che decide quali misure bisogna adottare e come formalizzarle dopo aver avuto indicazioni dal clinico o dal terapeuta che segue il bambino. Quindi l’applicazione della normativa B.E.S. è sempre una prerogativa della scuola.

D: Oggi si parla molto di Didattica Inclusiva: cos’è, qual è il suo fine? Come fare una per sviluppare una didattica inclusiva, quali sono gli aiuti previsti per gli alunni con B.E.S.?

R: È necessario chiarire un concetto fondamentale: la Didattica Inclusiva non è legata all’emergenza, deve essere considerata un processo ordinario della vita scolastica, è legata alla globalità della sfera educativa e sociale. Sappiamo che in classe c’è spesso una grande diversità, e di questo bisogna tener conto nella programmazione didattica. I docenti devono essere in grado di impostare dei processi di apprendimento adeguati a tutti gli alunni, per rispondere alle loro esigenze e alle loro potenzialità, insomma credo che sia sempre più importante adottare una didattica che sia un denominatore comune per tutti gli alunni, e soprattutto non lasci indietro nessuno. Quindi per questo si definisce Didattica Inclusiva più che una didattica speciale e queste sono proprio le direttive del MIUR. Oggi gli insegnanti hanno la possibilità di adottare tutte le forme di flessibilità che ritengono opportune con l’obiettivo di favorire dei percorsi personalizzati, adatti alle capacità di ciascuno. Perché in fondo qual è la finalità della scuola? È quella che l’alunno apprenda! All’interno di questo obiettivo possono esserci tante strategie didattiche che tengono conto della singolarità, delle capacità e della complessità del bambino e delle sue diverse fasi di sviluppo.

D: Adesso entriamo nel dettaglio, che strumenti ha la scuola per poter attuare questi percorsi personalizzati?

R: Lo strumento principale che ha la scuola è il P.D.P. il Piano Didattico Personalizzato, presente sempre nella stessa direttiva del MIUR del 27/12/2012; che prevede che gli insegnanti redigano un programma didattico personalizzato per l’alunno, per mettere nero su bianco tutto ciò che può essere utile all’interno della didattica a scuola. Una sorta di “patto” con la famiglia ed in alcuni casi una consultazione con il clinico che si occupa del bambino o del ragazzo.

Il P.D.P. è di competenza degli insegnanti per quanto riguarda la scuola primaria e del Consiglio dei docenti di classe per quanto riguarda la Scuola secondaria, ovviamente in collaborazione con la famiglia anche perché viene sottoscritto dai genitori.

D: Quando viene redatto il P.D.P.? c’è un periodo appropriato?

R: Normalmente all’inizio del primo quadrimestre, ma può essere redatto anche nel corso dell’anno scolastico, nel momento in cui viene presentata una diagnosi clinica o ci sia una situazione particolare, in modo che venga predisposto un nuovo P.D.P.

Può essere aggiornato di anno in anno o nel corso dell’anno scolastico, seguendo anche le nuove situazioni e i progressi del bambino.

D: Com’è strutturato un P.D.P.?

R: È formato da diverse voci: inizialmente vengono riportati i dati anagrafici dell’alunno; la tipologia del disturbo, con o senza la diagnosi, nel primo caso con indicazioni del clinico che segue il bambino; poi vengono inserite le attività personalizzate, eventuali strumenti compensativi e anche le modalità di verifica personalizzate. Lo possiamo considerare quindi, un vero e proprio compendio della situazione dello studente e della sua certificazione. È uno strumento importante per l’alunno, per la famiglia e per l’insegnante e per questo si auspica che venga sempre svolto in sinergia, perché si possano condividere tutte le linee da seguire durante l’anno.

piano didattico personalizzato

D: Piano Didattico Personalizzato e Mutismo Selettivo

R: Per la diagnosi di Mutismo Selettivo il P.D.P. non è obbligatorio ma lo ritengo uno strumento veramente importante, una grande opportunità soprattutto per i bambini, perché nel momento in cui viene redatto, vengono stilate tutte quelle modalità operative da attuare in classe, per favorire il benessere del bambino e per aiutarlo a progredire. Ad esempio, ai fini della valutazione possono essere introdotte interrogazioni scritte al posto di quelle orali; può essere introdotto l’uso delle registrazioni; si può dispensare il bambino da prove a tempo; si possono evitare domande troppo aperte o anche dare delle indicazioni molto dettagliate e verificare che la consegna sia stata compresa, perché questi bambini non riescono a chiedere delle spiegazioni. Un’altra modalità operativa efficace è l’introduzione di prove con una gradualità nella difficoltà, detta anche “partenza facilitata”, inserire un esempio nei primi esercizi in modo che possano avere un modello di riferimento. E nelle valutazioni di fine ciclo consentire l’utilizzo del Power Point, con la voce registrata.

Il Piano Didattico Personalizzato è uno strumento molto efficace che va concordato con i genitori e con il terapeuta perché sappiamo quanto sia importante il “timing” soprattutto con i bambini con Mutismo Selettivo: vale a dire che alcune strategie che possono essere validissime in alcuni momenti, ma se utilizzate al momento sbagliato, quando cioè il bambino non è ancora pronto, finiscono con l’essere controproducenti e quella strategia risulta ormai inutilizzabile.

Quindi è bene che il team famiglia-insegnante-terapeuta agisca in maniera armonica e utilizzi le strategie in maniera concorde. Non dimentichiamo che i bambini con Mutismo Selettivo hanno un disturbo d’ansia e l’ansia ha un impatto fortissimo sulle prestazioni a livello cognitivoe quindi a scuola la richiesta di prestazioni e le valutazioni risentono molto di questo impatto. Questo è un dato del quale gli insegnanti devono tener conto, perché è fondamentale essere consapevoli che quello che valutano in realtà è inficiato dall’ansia e quindi non sempre corrisponde al reale apprendimento e alle reali capacità del bambino. Da qui l’importanza e la necessità di adottare delle strategie e delle modalità di verifica che aiutino il bambino a sentirsi a suo agio, a diminuire così gli effetti che l’ansia ha sugli aspetti cognitivi.

D: L’insegnante di sostegno sì o insegnante di sostegno per i bambini con Mutismo Selettivo?

R: Partiamo col ricordare che l’insegnante di sostegno viene attivato solo quando il bambino è tutelato dalla Legge 104, cioè quando rientra in quella categoria chiamata disabilità, quindi un alunno rientrante nella normativa B.E.S. può avere un insegnante di sostegno solo se in possesso di una certificazione prevista dalla Legge 104.

D: Ma lei lo consiglia, lo ritiene necessario?

R: Ovviamente l’insegnante di sostegno è sempre una risorsa importante, ma per quanto riguarda il Mutismo Selettivo la sua presenza va valutata caso per caso: qui vige proprio il fattore unicità del bambino, bisogna considerare la sua situazione, la sua specificità. Solo prendendo in considerazioni tutti questi fattori si può valutare l’utilità o meno della presenza dell’insegnante di sostegno. Va ricordato che i bambini con mutismo selettivo NON hanno disabilità intellettive, quindi la diagnosi di mutismo selettivo prevede che i bambini abbiano delle doti cognitive adeguate, e considerando questo non si può definire necessaria la presenza di un insegnante di sostegno.

In alcuni casi però si può affiancare al bambino un educatore che è una figura differente dall’insegnante di sostegno: una persona di riferimento che proprio in virtù dell’approccio educativo possa essere supporto e fonte di sicurezza per il bambino, permetta di gestire meglio il disagio e l’ansia e che possa favorire la comunicazione all’interno della classe.

L’educatore può lavorare col bambino anche a casa, anzi, potrebbe essere ottimale introdurre la figura dell’educatore prima a casa e poi successivamente a scuola, perché una caratteristica importante è proprio la diversità del comportamento del bambino a casa dove è a suo agio e riesce a parlare e quello a scuola dove l’ansia è a livelli altissimie si manifesta con il blocco verbale. Conoscendo il bambino in entrambe le situazioni, l’educatore può mediare e aiutarlo: può costituire una figura “ponte” e riuscire a trasferire a scuola una componente, una parte del bambino con il quale interagisce a casa.

Grazie Dottoressa Tagliabue, credo che ora abbiamo tutti le idee più chiare, sulla cosa fare e cosa mettere in atto per aiutare un bambino con mutismo selettivo a far “uscire le parole”.


Autore articolo
Adriana Cigni

Adriana Cigni

Organizzatrice di incontri di formazione gratuiti sul Mutismo Selettivo in tutta Italia

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