Perché la Scuola Come È Organizzata non Favorisce L’Apprendimento?

di Gianni Marconato - http://www.giannimarconato.it/2014/02/perche-la-scuola-come-e-organizzata-non-favorisce-lapprendimento/

 

Sono sempre più convito che, così come è organizzata anche negli spazi e nei tempi della didattica, la nostra scuola non favorisce apprendimento; anzi, lo ostacola. E chi insegna fa una fatica enorme, tanti costi e pochi benefici.

Leggo la notizia della scuola senza aule né orari: bella notizia.

Bella notizia perché la didattica efficace ha bisogno, oltre che di insegnanti efficaci, anche delle condizioni organizzative per farla. Non si può fare qualsiasi didattica in qualsiasi condizione. Una scuola senza aule ed orari va in questa direzione.

 scuola non favorisce apprendimento

Lavorando con gli insegnanti mi rendo conto che tanti dei problemi che loro segnalano non sono assolutamente affrontabili con il numero di studenti che si hanno in classe (anche 25 – 30),  con una didattica frantumata in “ore” (anche 8 insegnanti diversi in una giornata nella formazione professionale a tempo pieno), con aule con banchi inchiodati al pavimento (anche se non sono inchiodati, il responsabile della sicurezza si oppone ad una disposizione a ferro di cavallo, non buona per la sicurezza).

Faccio un  elenco a caso dei problemi che raccolgo:

 

Sul piano dei comportamenti:

  • Manifestano forte indisciplina;
  • Non si ascoltano neppure tra di loro;
  • Sono facili alla noia, alla distrazione;
  • Hanno problemi di comportamento. Non imparano non perché non capaci, ma perché non ascoltano;
  • Chi interviene segue, gli altri si distraggono;
  • Sono difficili da gestire. Ci sono i bravi ragazzi ma si demotivano per l’influsso negativo dei peggiori; quelli che tirano in dietro. E’ più semplice adeguarsi al branco;
  • Sono difficili da gestire anche i normo-dotati avendo classi numerose e multi lingue;
  • Sono portatori di problematiche sociali, pluri-ripetenti (utenza “scarto”);
  • All’interno della stessa classe Sono fortemente diversificati (per abilità, motivazione, impegno …).

 

Sul piano didattico:

  • Manifestano disinteresse per le conoscenze che la scuola propone loro: i contenuti didattici sono ritenuti irrilevanti;
  • Evidenziano assente motivazione allo studio: la scuola non viene percepita offrire prospettive di futuro;
  • Non si fanno scalfire da nessuno stimolo;
  • Non vogliono fare fatica perché non serve a nulla;
  • Non studiamo, non si impegnano, giocano al ribasso;
  • Non colgono il significato professionale di tante attività didattiche (è difficile somministrare teoria, specie perché non vedono prospettiva d’uso);
  • Hanno difficoltà ad usare il pensiero astratto, il ragionamento;
  • Hanno un approccio meccanico all’apprendimento: nel breve periodo sembra che si siano sviluppati degli apprendimenti ma non è così: nel medio – lungo periodo molte conoscenze vengono dimenticate;
  • Manifestano carenze di conoscenze precedenti che dovrebbero essere stata acquisite durante la scuola media;
  • Sono superficiali: non vanno in profondità;
  • Non sono capaci di attenzione: non riescono a stare attenti alle spiegazioni per un’ora intera (un ora è molto lunga);
  • Manifestano inerzia, pigrizia cognitiva, non si misurano con la soluzione di problemi;
  • Si fa fatica ad ottenere risultati minimi.

 

Detto che in tante situazioni la didattica è davvero una strada stretta, come si a far fronte a questi problemi attraverso la “lezione”? Con 25 studenti da gestire attraverso una didattica, necessariamente, uguale per tutti? Stando inchiodati a scuola? Facendo cambiare loro schemi mentali ogni ora, per tante volte al giorno?

 

Una didattica attiva, laboratoriale è, a mio avviso, l’unico antidoto a questi problemi. Non esistono vie per “farmi ascoltare”, per “farmi seguire” per “stare attenti” di più. Vanno cambiati i processi cognitivi cui facciamo riferimento.

 

Considerato, però, che la nostra scuola è questa, domandiamoci: quale apprendimento riusciamo a promuovere? Emblematica l’affermazione che spesso sento: ho interrogato /fatto verifica ed hanno risposto correttamente, ma dopo una settimana hanno già dimenticato. Molto probabilmente, dico io, non hanno mai imparato, a meno che per “imparare” non si intenda memorizzare e ripetere nel breve periodo.

 

Perché si attivi un apprendimento solido, profondo, generativo, significativo è necessaria ben altra didattica e per una didattica “altra” è indispensabile una struttura del tempo e dello spazio scuola ben diverso.

 

Mi si dirà: ok, tutto bello, tutto convincente, ma i nostri ragazzi a scuola imparano e da grandi, molti, sono professionisti e tecnici di valore… tanto male non è, quindi, questa scuola!

 

La mia replica: i ragazzi (ed anche gli adulti) imparano perché come essere umani abbiamo una vocazione naturale all’apprendimento, perché siamo in grado di imparare anche da soli, perché autogestiamo il nostro apprendimento, perché, in tanti casi, impariamo nonostante la scuola e l’insegnamento. Ovvio che non è sempre così, ma questo è uno scenario più comune di quanto non si creda.

 


Autore articolo
Gianni Marconato

Gianni Marconato

Psicologo e formatore

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11 commenti su “Perché la Scuola Come È Organizzata non Favorisce L’Apprendimento?”

  1. Tutto assolutamente giusto. Il problema, a mio avviso, è la sostanziale mancanza di investimenti nella scuola. Basti pensare che l’unica occasione per favorire un apprendimento diversificato e laboratoriale, cioè le ormai dimenticate “compresenze”, è andata inaspettatamente perduta in una egoistica e cinica ottica dei tagli. Inoltre, grazie alla riforma Fornero, abbiamo ora nelle scuole italiane ancora più insegnanti veramente troppo anziani per il lavoro che sono chiamati a svolgere: essi sono evidentemente stanchi e stressati, sono privi di una carica emotiva e di una vitalità in grado di rispondere alle impegnative istanze degli alunni; da ultimo, sono naturalmente refrattari alle nuove forme di evoluzione della didattica. Ritornando al problema della carenza di investimenti, va sottolineato che spesso bisogna improvvisare le lezioni per mancanza di aule o di spazi idonei. Vi sembra poco?
    Vogliamo infine parlare degli stipendi?

  2. Caro Gianni, sono “sentimentalmente” legato alla tua analisi. Ma se cerco delle vie d’uscita mi vengono in mente solo cose già trite e ritrite che non mi convincono. Non mi convince per niente l’idea dell’insegnante “motivatore”, perché l’insegnante deve mediare innanzi tutto, e deve farlo anche prima che sia prodotta, dal processo, quella motivazione che poi renderà autonoma la persona. Anche la libertà di apprendimento è un aspetto fondamentale, ma ancora una volta la necessità di mediazione esperta (chi non ha un sapere che razza di libertà può mai avere?) non può sconfinare nella mancanza di insegnamento. Come sai, secondo me, dovrebbe almeno restare nel dominio della libertà dal giogo delle verifiche prestazionali imposte. È difficile stabilire se la scuola non sarebbe così anche cambiando organizzazione e facendone una favorevole. Io non credo. Anche con dieci alunni per classe i modelli resterebbero quelli tradizionali. C’è un forte bisogno di modelli positivi, anche dietro alle scelte organizzative, e non mi pare che i docenti siano oggi in grado di darseli da soli.

  3. Sono d’accordo con Gianni Marconato e penso che il suo intervento sia una buona base di riflessione sul problema dell’apprendimento e, più in generale, del processo di insegnamento e apprendimento.
    E’ evidente a tutti da alcuni decenni che la pratica trasmissiva (sostanzialmente ottocentesca nei modi e nella base teorica) non dà corso dà un apprendimento efficace se non in rari, circostanziati e molto delimitati casi: nella pratica comune, invece, si dimostra inefficace e frustrante, anche perchè per fare una buona lezione frontale oltre a competenza e padronanza della disciplina il docente dovrebbe possedere un ‘set attoriale’ tale da consentirgli di stimolare. mantenere, riattivare l’attenzione della ‘platea’. Inoltre lo stesso insegnante dovrebbe avere cognizioni chiare di psicologia dell’età evolutiva e sapere che l’attenzione indirizzata di un adolescente non supera i 20′ per ogni ora di lavoro…

    Un apprendimento significativo, a mio pare e, per fortuna!, non solo mio, è avvicinabile, come obiettivo, solo attraverso un intervento di insegnamento che è soprattutto creazione di scenari e occasioni di apprendimento sotto forma di attività diretta degli allievi. Solo facendo e lavorando in gruppo e per il gruppo si impara davvero, tutto il resto è solo materiale inerte che presto si nullifica nella nebbia dei ricordi scolastici privi di senso. Il disegno del percorso cognitivo è soprattutto quello di un percorso auto-formativo nel quale gli allievi non solo costruiscono la propria conoscenza ma forgiano le loro competenze chiave nella pratica comune e condivisa nel risultato. Questa pratica si estende, senza se e senza ulteriori dilazioni, anche all’autoverifica e all’autovalutazione: processi che l’insegnante deve guidare ma risolvendo la propria presenza in un aiuto a fare da soli…
    Persino le verifiche sono da eliminare decisamente a favore di prove di prestazioni (orali, scritte, pratiche) nelle quali si insegna agli allievi a gestire il proprio apprendimento ottenendo non i famigerati ‘obiettivi minimi’ ma tutti i ‘risultati possibili’ per la costruzione dei cittadini e dei cittadini digitali…

    • In Veneto, dove vivo e insegno, i risultati scolastici dei ragazzi sono tra i più alti in Europa. Per cui non direi proprio che la scuola non funziona e che i ragazzi non raggiungono un buon livello di conoscenze e competenze (anzi, soprattutto queste ultime, dal momento che Invalsi e OCSE valutano queste). Tant’è che poi i nostri ragazzi si fanno valere nel mondo del lavoro. E tutto questo con una didattica “tradizionale”, basicamente.
      Si possono ottenere risultati migliori con una didattica diversa? Non lo so, forse sì, forse no. Certo è che non è sempre progresso andare dietro alla società: in questo caso, non credo sia progresso andar dietro ad una società che tende a produrre ragazzini incapaci di stare attenti, concentrarsi, far fatica, ascoltarsi tra di loro, portare rispetto per i superiori.

    • Totalmente d’accordo. Nella scuola anglosassone, dove I laboratories e imparare con il fare esistono nessun insegnante entrerebbe in classe senza Anni ad avere appreso, non solo sui libri, tecniche dell’isola, con tutors e simulazioni.
      Ma ora è tardi per questo in Italia. Ci vuole il cambio radicale che lei descrive: come farlo arrivare Al Ministero?
      L’ideale sarebbe fissare obbiettivi precisi ma dare a ciascuno direttore didattico liberta’ totalee su come perseguirli, abolendo totalmente I noiosi Ed inutili programmi.

  4. Sono un’insegn. di Scuola dell’Infanzia ,credo molto nel mio lavoro, credo anche che ogni team docente sia arrivato ad un livello di demotivazione sul lavoro che non riesce ad essere produttivo, creativo, efficiente,collaborativo… siamo sempre soggetti a riforme continue per avere continue delusioni dallo Stato, la maggior parte dei dirigenti poi non fa altro che destabilizzare la professione d’insegnante… con l’assenza di comunicazione,assenza di informazioni,di CONDIVISIONI.Il processo di apprendimento-insegnamento credo si determini anche dall’umore di ciascuna insegnante in quanto persona, essere umana; è oberata di burocrazie, incarichi che non collimano con la didattica, scarso personale, classe o sezioni numerose … insomma come si può pensare di” fare scuola”! Sempre umiliati, stipendi miserabili,alta responsabilità e vogliamo parlare di quando il medico fiscale vuole darci qualche giorno in più e lo rifiutiamo!! non basta… ci chiedono ancora di più!!! Adesso ci si mette anche Renzi IL NOSTRO LAVORO E’ USURANTE!

  5. Insegno alle superiori, ho due allieve che vengono da una scuola media “senza zaino”, quelle scuole dove i ragazzi lavorano solo a scuola, in gruppi, senza lavoro a casa, senza prove di verifica ecc..
    Un vero disastro, realmente un handicap. Abbiamo dovuto lavorare molto insieme perché recuperassero la capacità di stare al passo con gli altri, in grado di capire gli argomenti e di impadronirsi dei metodi.
    Qualcuno prima di noi ha fatto demagogia, qualcuno le ha imbrogliate.
    Dareste una minestrina annacquata a ragazzi di quella età che hanno fame di pastasciutta? Cari colleghi, insegnate per davvero, insegnate roba sostanziosa: farete fatica voi, farete fare fatica ai ragazzi, ma ne vale la pena.

  6. Sono anch’io una di quelli che ha imparato ‘nonostante’ la scuola. Ho sofferto enormemente la scuola pubblica statale, per me tempo di noia e parcheggio mentale. Ancora adesso, non riesco, anche sforzandomi, a trovare una nozione appresa li che mi sia servita a qualcosa. Solo il periodo dell’Universita’ è stato il piacere della conoscenza, con ore e giorni su temi da me scelti che potevo sviluppare liberamente. Ho successivamente continuato con Master, PhD/dottorato, etc per interesse verso la ricerca e conoscenza, cosa che la scuola tradizionale mai mi aveva trasmesso.

    Questo per dire che i problemi che l’articolo annuncia come limiti dei ragazzi non sono nulla di nuovo. I “fannulloni/svogliati/scarti’ sono sempre esistiti: magari geni fuori dal sistema scolastico, ma incapaci per un’ ambito (la scuola Italiana) che ha poca o nessuna rilevanza con la vita reale. Questo è il punto chiave: quanto la scuola sia rilevante per la vita reale nell’esperienza di ciascun ragazzo/a.

    Se quei problemi sono sempre esistiti,dato che la scuola Italiana è uguale a come era nell’ottocento, quello che è cambiato sono le scoperte sul cervello umano e sul modo di apprendere, che non possiamo
    piu’ ignorare . Per esempio, l’attention span di un normale adulto non supera mai I 25-27 minuti o meno (le noiosissime lezioni di un’ora), figuriamoci di un ragazzo in bombardamento ormonale. Inutile criticare la breve attenzione: facciamocene una ragione e strutturiamo lezioni basate su coinvolgimento personale e consapevoli che attenzione totale sara limitata nel tempo, ma non per questo meno efficace.

    Non possiamo permetterci di lasciare indietro neppure un ragazzo affinche’ diventi una persona matura, felice e sicuro dei propri talenti nella vita reale, fuori dalla classe. La scuola serve alla vita fuori dalla scuola. Altrimenti è inutile.

    Ma bisogna fare una onesta riconsiderazione del proposito della scuola per poterne cambiare la metodologia. Se la scuola deve servire alla riuscita di Tutti fuori dalla scuola (non necessariamente tutti nello stesso campo: nella stessa classe ci sara’ un atleta, un ottico, un musicista, un astronauta ed un imbianchino, etc) allora un sistema scolastico degli intelligenti/idioti che riproduce inclusi/esclusi è suicida.

    Da non dimenticare la formazione, selezione e supporto per gli insegnanti: in altre parti del mondo (sistema anglosassone) dove I laboratori e imparare con il fare esistono da tempo, nessun insegnante entrerebbe in classe senza anni di pratica e studio, non solo sui libri, di tecniche dell’insegnamento, con tutors e simulazioni reali. Previa una forte selezione basata su una quantita’ di criteri, inclusi elementi caratteriali e psicologici. Chi conosce I sistema educativo finlandese sa che è un privilegio insegnarci, non tanto per I salari, quanto per l’altissimo livello di selezione e preparazione.

    Ben venga allora anche altra didattica, con altra struttura del tempo e dello spazio. Si parla recentemente di metodo MODI e Sono curiosa di vederlo in azione.

    L’ideale sarebbe anche fissare obbiettivi precisi ma dare a ciascuno direttore didattico liberta’ totale su come perseguirli, abolendo totalmente I noiosi ed inutili programmi.

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