No, Io Non Uso WhatsApp con gli Studenti

Diciamo la verità, da quando l’uso degli smartphone è dilagato si è decisamente ristretto il concetto di privacy o riservatezza. Non nego che l’utilità di consultare velocemente la posta o i social sia una cosa fantastica, così come comunicare in tempo reale con amici, colleghi, chiunque, tramite un’applicazione utilissima e assai diffusa, WhatsApp.

 

Come insegnanti dovremmo benedire tanta abbondanza di mezzi di comunicazione e non sono pochi gli esperti del settore a spingere la classe docente a formarsi adeguatamente per l’utilizzo dei social e in particolar modo di WhatsApp: tempo fa una maestra esprimeva su questo blog il suo entusiasmo per aver condiviso il suo numero con i genitori dei suoi alunni, per comunicare velocemente compiti,esercizi,ecc.

 

Tuttavia su quest’ultimo punto mi trovo completamente in disaccordo. Insegno in un Liceo e i miei alunni sono in età decisamente più avanzata rispetto ai bambini della primaria, ma trovo in loro alcune debolezze e  pigrizie che sarebbero senz’altro alimentate da un uso abituale del mezzo fin dalla primaria.

 

WhatsApp con gli studenti

 

E, peggio ancora, se improvvisamente più genitori usassero il mio numero (che comunque sia, è un numero privato, un dato sensibile), inevitabilmente lo farebbero per evitare di venire a scuola, eludere i ricevimenti mattutini o pomeridiani, per pigrizia, impegni di lavoro o indifferenza (perché ben sappiamo che esistono genitori che non si presentano MAI ai colloqui con i docenti). In passato qualche genitore, entrato chissà come in possesso del mio numero, lo ha fatto, telefonandomi in orari decisamente inopportuni.

 

Ma mettiamo pure da parte la condizione personale e il fatto che mi sentirei in servizio 24 ore al giorno, feste comprese (come e peggio di un medico reperibile al Pronto Soccorso): serve veramente per “educare” l’allievo? Educare per me significa molte cose, non solo sapere il V canto dell’Inferno o saper fare un esercizio di grammatica. Significa abituare il ragazzo a reperire le informazioni in modo attivo, mai supinamente: la lezione è già stata assegnata sul registro elettronico, quindi chiunque sa dove reperirla. Se qualche informazione è sfuggita, la si chiede direttamente al docente, a scuola. Se non è ben chiaro un concetto, un esercizio o altro, prima si tenta di svolgere ciò che è assegnato, poi, se proprio appare difficile, il giorno dopo si chiedono lumi al docente, che sta lì  appositamente per chiarire i dubbi. Naturalmente sarà UN dubbio, UN esercizio, UN elemento poco chiaro. Non tutto quanto. Insomma, i nostri ragazzi sono nati in un’epoca fortunata, provvisti di tecnologie avanzate, ma molto scarsi, purtroppo, nel saper attivare autonomamente le proprie risorse,  perché c’è spesso qualcun altro che lo fa al posto loro, rendendoli così insicuri, incerti,ansiosi.

 

Stiamo, quindi,  in contatto con i genitori, ma a scuola. Siamo sempre disponibili con gli alunni, ma entro orari ragionevoli, perché un docente ha una vita privata che esula completamente dal lavoro che ha deciso di svolgere. L’idea del docente missionario che pietosamente accoglie e aiuta per tutto l’anno, per tutta la vita, appartiene al libro “Cuore”, quando si doveva lottare con il 75% dell’analfabetismo strumentale post-unitario e strappare masse indigenti dal baratro dell’ignoranza.

 

Ai miei alunni do il mio indirizzo email, quello che utilizzo esclusivamente per lavoro. Mi scrivono generalmente per inviarmi lavori, composizioni, temi. Oppure per avere chiarihmenti sulle modalità di una esercitazione in classe. Rispondo in tempo reale, al massimo dopo un giorno.

 

Ma WhatsApp no, sarebbe troppo invadente e poco rispettoso, anche per gli studenti stessi. Anche loro hanno bisogno di privacy, di un telefono che accolga messaggi sì, ma di amici e parenti. I professori occupano fin troppo le loro giornate , lasciamoli fuori  nel resto del tempo disponibile, perché anche la presenza ossessiva degli adulti è uno stress.

 

Caterina Cruciani, insegnante


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