Appunti di Viaggio di una Maestra

A volte le cose nascono per caso, così… una parola, poi un’altra, un’idea, un’intuizione si fanno presto strada tra i banchi e divengono realtà, come degli appunti di viaggio.

 

Ogni insegnante sa che coinvolgere i bambini in attività stimolanti, mantenendo l’interesse sempre vivo, facendo cioè sperimentare il piacere di affrontare un compito, diviene un impegno entusiasmante e fondamentale nel processo di apprendimento-insegnamento.

 

Gestire la classe, prestando attenzione al singolo e passando velocemente da un bambino all’altro, richiede flessibilità, abilità relazionali, disposizione all’ascolto; i comportamenti non andrebbero mai interpretati frettolosamente e le risposte dovrebbero essere differenziate, a seconda della situazione.

 

L’insegnante invia continuamente feedback, in un percorso in cui filtrano il verbale e il non verbale: non solo le parole ma anche gli sguardi ed i gesti parlano.

 

Queste righe raccontano un’esperienza seminata tra i banchi e lentamente cresciuta nelle menti e nelle emozioni dei bambini…

 

Appunti di viaggio di una maestra

 

La porta della classe è chiusa ormai da quasi un’ora. Dall’interno non provengono né voci né rumori.

 

Forse la scolaresca sarà uscita, sarà andata a fare lezione all’aperto.

 

Di tanto in tanto si sentono dei passi, allora qualcuno è rimasto. Non vola una mosca.

 

Una musica di sottofondo si diffonde nell’aula come una dolce colonna sonora: è il suono prodotto dai piccoli cervelli dei “piccoli coniglietti”, molto simili a Giulio coniglio, … al lavoro…anzi dei bambini.

 

A volte i bambini sono proprio come i personaggi delle storie, si fanno catturare e catturano l’adulto con la loro fantasia. Ne può scaturire un’esplosione di entusiasmo e di potenzialità.

 

In questi momenti forse si tocca concretamente la splendida realtà dell’essere insegnante.

 

Impossibile dimenticare i bambini che ogni maestra ha incontrato nel percorso di vita: le ore trascorse con loro tra fatiche, impegni, piccole gioie quotidiane, traguardi raggiunti ed altri non realizzati.

 

Impossibile dimenticare i loro occhi attenti e curiosi di apprendere, quelle mani alzate e quelle gambe impazienti che non riescono a stare ferme sotto banchi sempre troppo piccoli.

 

Alcuni bambini, più di altri, tuttavia, lasciano un segno e rimangono “dentro”.

 

Ogni alunno giunge a scuola con una valigia piena, portando con sé un “bagaglio” di aspettative, motivazioni, entusiasmo, speranze, ansie e paure.

 

A volte, però, il suo stato emotivo non collima con i suoi bisogni scolastici, forse perché è disturbato da qualche episodio che ha vissuto, da qualche conflitto che si è verificato a casa o a scuola: la sua mente è “invasa” emotivamente e allora diviene difficile parlare di apprendimento.

 

Le strategie che ogni insegnante adotta sono molteplici, ma a volte sembrano infrangersi una ad una… lasciando un “cumulo” di impotenza e confusione.

 

Può essere solo una fase dell’apprendere, altre volte le difficoltà e gli insuccessi si sommano: quando si verificano troppo spesso divengono indubbiamente un campanello d’allarme per l’insegnante.

 

Così allora guardi quegli occhi che ti guardano e aspettano da te adulto, da te insegnante una risposta. Ti siedi vicino, gli parli, fai sentire la tua presenza e gli chiedi chi vorrebbero avere accanto quando è in difficoltà nell’eseguire un compito. Gli occhi allora si illuminano e si spalancano e, guardandoti sorridendo, ti risponde:

 

– Tu, maestra, ma è logico…

 

Allora l’intuizione: – Provate a pensare chi della vostra famiglia vorreste avere vicino…

 

Tutti rimangono con lo sguardo assorto, nel tentativo di recuperare l’immagine di qualcuno: un volto, una voce, una sensazione.

 

Ecco le vocine sussurrare: – Io, la mamma… – Io mi porto il nonno… – Io vorrei la mamma…

 

Tra i banchi, scorgo un un volto triste…- Io non so chi potrei portare, non so chi vorrei vicino…

 

Dopo averci pensato ancora un po’, la risposta non tarda a venire:- Io vorrei vicino a me un bambino piccolo, di un anno, che corra in giro per farmi sentire felice, perché i compiti mi vengono meglio quando sono contenta…Sto meno a pensare, a scrivere e tutto funziona meglio…

 

Sembra un bel gioco e un modo per riattivare l’attenzione dei bambini…ma non è stato solo questo. I bambini desideravano veramente avere qualcuno seduto lì, magari solo una sedia vuoto accanto che però significava presenza mentale di una persona importante.

 

Il legame affettivo, anche se le persone sono distanti, è vivo e in grado di alimentare la sicurezza e la fiducia anche attraverso solo “una sedia vuota”.

 

Era molto bello vederli guardare quella sedia vuota che veramente avevano accanto; di tanto in tanto si giravano quasi a cercare un cenno di conferma da quella presenza invisibile.

 

Qualcuno sorrideva cercando di abbracciare simbolicamente la persona che in quel momento era seduta lì, avvicinando sempre più la sedia, soprattutto quando le idee per il compito non venivano.

 

Nei giorni seguenti “il gioco” è continuato: la mattina accadeva che se la bidella si permetteva di spostare le sedie in esubero accanto ai banchi, i bambini si arrabbiavano e provvedevano immediatamente a recuperare il posto per “l’aiutante”.

 

Fin qui sembra ancora un bel gioco movimentato, in realtà con stupore ho notato che proprio il bambino che incontrava maggiori difficoltà nei tempi di esecuzione, nell’interesse e nella motivazione, immediatamente sembrava essere entrato in un’altra dimensione: “l’aiutante” era davvero di aiuto.

 

Il bambino sembrava non sentirsi più solo davanti a quel foglio bianco. Lì accanto c’era il nonno, a cui era molto legato e che lo faceva sentire “bravo”. Nei pomeriggi, infatti, svolgeva i compiti con quella persona, per cui a scuola era di grande aiuto poter recuperare la sensazione di fiducia e di sicurezza avendolo seduto su quella “sedia vuota”. Le prestazioni hanno iniziato ad avere un miglioramento concreto.

 

Soddisfatto lui e soddisfatta la maestra che, con stupore, aveva casualmente scoperto una nuova strategia da collocare nel patrimonio delle modalità per motivare i bambini.

 

L’intera classe sembrava soddisfatta e desiderava raccontare e raccontarsi:

 

-…mi dà più grinta, voglia di fare meglio…
-…quando mi fermo, mi dice di andare avanti…
– E’ la nonna che mi aiuta, mentre lei cuce, io mi avvicino e le chiedo un aiuto…
– Mi fa essere più felice del solito…

 

Riscoprire il valore positivo dei legami affettivi familiari significa, prima di tutto, rispettare il bambino per quello che lui è, quale membro del suo nucleo: si tratta, infatti, per la scuola di rivalutare il potenziale che ogni famiglia ha e rappresenta per i piccoli alunni. Anche quando il bambino è in classe rimane infatti membro della sua famiglia. Ed io, come insegnante, ho imparato, nonostante i tanti anni di insegnamento alle spalle, che a volte sono loro che ti prendono per mano e ti conducono: non aspettano altro che di sentirsi accettati, valorizzati, di imparare divertendosi, non sentendosi soli.

 

…e in certi giorni, in certi momenti, anche la maestra vorrebbe avere qualcuno seduto su quella sedia vuota accanto alla sua..

 


Autore articolo
Monica Pittis

Monica Pittis

Insegnante

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