Una terza media di Pordenone ha vissuto una particolare lezione in aula in occasione della Giornata della memoria. Già, perchè proprio “vivere” è il verbo più adatto per indicare il modo in cui i ragazzi hanno partecipato alla particolare lezione del loro professore Enrico Galiano.
Anche questo è essere bravi professori: avere il coraggio di superare gli schemi, porre davanti ai ragazzi il passato come qualcosa da cui il presente non può ritenersi separato e soprattutto che ognuno di noi può ritrovarsi a vivere ciò che qualcun altro ha già vissuto.
L’idea della particolare lezione a Galiano è venuta a partire da un libro, Ammare, di Alberto Pellai e sua moglie Barbara Tamburini. Si tratta di una cosa semplicissima ma nella sua semplicità comunque geniale poichè in pochi minuti ha materializzato davanti agli occhi dei ragazzi alcuni concetti non facilmente spiegabili a parole, e soprattutto alcuni fatti che il cuore di studenti che vivono in questo comodo mondo occidentale non riesce a comprendere.
Il docente aveva chiesto ai ragazzi di portare una bottiglietta d’acqua vuota per giovedì. E poi è nata questa lezione, quest’esperienza, così come lo stesso Galiano la racconta su Facebook: “Oggi sono entrato in classe. Con un secchio. Ho detto ai ragazzi di sedersi in cerchio. Ho dato a ciascuno di loro un piccolo foglio di carta. Gli ho detto: ‘Adesso pensate alla persona a cui volete più bene al mondo. Poi disegnate un omino stilizzato e vicino ci scrivete il suo nome’ ‘Ma io posso scriverne due?’ ‘Certo, anche tre se vuoi!’. Su quei foglietti i ragazzi hanno scritto chi il papà, chi la mamma, chi i cugini, e così via.“
E così continua il professore: “E dopo ho chiesto loro di riempire la bottiglietta, di versarla nel secchio e di tornare a sedersi. Davanti ai loro occhi ho fatto una grande barca di carta, e gli ho detto di metterci ciascuno il proprio foglietto sopra. Poi ho appoggiato la barca sulla superficie dell’acqua. Infine ho iniziato a far vacillare il secchio, fino a che la barchetta non si è ribaltata, facendo cadere giù tutti i foglietti. Tutti quei nomi, quegli omini, giù in fondo al secchio. Si è creato un silenzio incredibile. Più di un minuto senza che nessuno fiatasse”, quasi «un miracolo» in una classe di ragazzi di terza media.
È stato solo in quel momento che il professore ha iniziato a raccontare ai ragazzi qualcosa che poteva collegare quella loro esperienza con la realtà. Queste appunto le parole di Galiano ai ragazzi: «Ho raccontato loro del naufragio del 18 aprile 2015, in cui nel Canale di Sicilia sono morte più di mille persone, tante quasi come nel Titanic. La loro barca, un peschereccio fatiscente che di persone ne poteva contenere al massimo duecento. E ho raccontato loro di una di quelle: un bambino più piccolo di loro, originario del Mali, che è stato ritrovato con la pagella cucita sulla giacca. Secondo voi perché un bambino dovrebbe salire su una barca così?».
Le risposte dei ragazzi forse non si discostano molto da quelle che hanno attraversato anche le nostre menti. E possiamo ritrovarle ancora nel post del professore, che continua così: “‘Per far vedere che aveva studiato!’ ‘Per dire a tutti che era bravo a scuola!’ E poi un ragazzino macedone, di fianco a me, a bassa voce ha detto: ‘Forse per far vedere che non era cattivo, come molti pensano di tutti quelli che arrivano’. La campanella è suonata per la ricreazione, i ragazzini sono usciti e si sono dedicati alle proprie merende. Tranne tre ragazze, che sono tornate indietro: ‘Scusi prof’ ‘Sì?’ ‘Noi vorremmo…’ ‘Voi vorreste…?’ La più coraggiosa delle tre prende il coraggio e dice tutto in un fiato: ‘Possiamo tirare fuori quei fogli da lì?’. Ci siamo chinati, li abbiamo tirati su uno per uno, insieme“.
Il prof si è commosso: ha pensato “che finché tre ragazze decidono di saltare la ricreazione per tirare su dal fondo di un secchio dei fogli di carta, c’è ancora motivo per credere in un mondo diverso“.
Commozione, sì è proprio commozione quella che il post del professore sta generando su Facebook ed ora anche nelle testate giornalistiche. In particolare la sua idea, l’esperienza dei ragazzi, ma soprattutto quanto la semplicità dei gesti può dare anche a tutti noi un insegnamento che va oltre le materie scolastiche, che forse può farci riflettere davvero e magari decidere a volte di “saltare la ricreazione“.