La Storia di Amanda, 16enne che Denuncia i Bulli con un Video e Poi Si Uccide

Più di 30.000 like per la pagina Facebook di Amanda Michelle Todd, l’hashtag #RIPamanda diventa trending su Twitter e il video youtube di Amanda supera gli 11 milioni di visualizzazioni.

amanda todd

Si tratta di 9 minuti di immagini in cui Amanda racconta la sua storia attraverso delle flashcard. Una storia fatta di anni di bullismo che l’hanno portata dall’alcool alla droga. Cinque settimane dopo aver caricato il video, giovedì 11 ottobre 2012, la studentessa Amanda, appena 16enne, sconvolge il Canada quando viene trovata impiccata nella cameretta della sua casa a Port Coquitlam.

Anche il Premier britannico Christy Clark usa youtube per intervenire sulla tragedia e così in un video dice: “Il bullismo non è un rito di passaggio: il bullismo deve fermarsi“. È nel 2009 che ha inizio la storia di Amanda. A soli 13 anni la piccola Amanda, come molte sue coetanee, vive un periodo di insicurezza e cerca di conferme riguardo al suo aspetto fisico. E così inizia ad usare una videochat per fare nuove amicizie. È in questo mondo virtuale che viene agganciata da un adulto che sembra gentile e molto sensibile alla sua bellezza, per cui Amanda comincia a considerarlo simpatico e a dargli fiducia.

I primi semplici complimenti da parte dell’uomo si trasformano poi nella richiesta di mostrarsi a seno nudo in cam. La ragazzina inizialmente non vuole, ma poi si lascia convincere dal suo “amico” più grande. Ma l’intenzione dell’uomo era solo una: fare uno screenshot di quel video per poi poter ricattare Amanda.

Il fenomeno del ‘capping’ è purtroppo molto diffuso nel mondo delle videochat. Molti pedofili, come l'”amico” di Amanda fanno da ‘cappers’ adescando e manipolando le loro fragili vittime. Quell’uomo fa capire ad Amanda che conosce il suo indirizzo, i suoi amici, la sua famiglia, e così Amanda, impaurita, decide di obbedire alle sue richieste, sperando che quella storia finisca lì. Ma purtroppo è appena agli inizi.

Succede anche che il giorno di Natale la Polizia si presenta a casa Todd per avvertire i genitori della ragazza che la sua foto circola su Internet. Subito iniziano per Amanda ansia e depressione; la ragazza cambia anche scuola. Ma dopo un anno su Facebook compare un profilo che porta il suo nome e che ha come foto proprio quella del suo seno. A questo profilo vengono aggiunti i suoi nuovi compagni di classe.

Il salto dal mondo virtuale alla realtà è per Amanda ancora più devastante: nei corridoi scolastici la ragazza viene presa di mira, insultata, schernita. Per la ragazza la scuola è diventata un inferno e così lei è sempre più isolata. Solo un vecchio compagno di classe si fa vivo per mostrarle affetto e comprensione. E così Amanda, pensando di piacergli, si fida di lui e si prende anche una cotta.

Quando va al primo appuntamento col ragazzo, Amanda si trova davanti 15 ragazzi, compreso il suo corteggiatore e la fidanzata di lui, che comincia a insultarla dicendole: “Guardati intorno, non piaci a nessuno“. Poi la picchiano e la lasciano a terra, lì dove poi la trova suo padre. Ma lei, stanca ed impaurita, mente dicendo di essersi ferita da sola.

Niente però ferma i bulli: su Facebook compaiono commenti in cui le si augura la morte. E così arriva per Amanda il momento di un nuovo trasferimento, ma nel frattempo vengono postate foto di acidi e candeggina in cui lei viene taggata.

La ragazza viene aiutata dagli psicologi e segue una terapia farmacologica contro depressione e attacchi di panico. Eppure ogni notte piange, si fa del male tagliandosi e finisce in ospedale per overdose di farmaci. Ma tutto ciò di nuovo alimenta le cattiverie su Facebook, stavolta con foto dell’etichetta del farmaco da lei utilizzato, consigliandole la prossima volta di ‘aumentare il dosaggio’.

Il 7 settembre Amanda pubblica il video intitolato My story Struggling, bullying, suicide, self harm. Un video fatto di cartoline che raccontano, Amanda non parla, semplicemente scrive “Sono ancora qui. Non ho nessuno, ho bisogno di qualcuno. Mi chiamo Amanda Todd“.

Dopo la morte di Amanda il gruppo di hacker Anonymous manda una lettera all’emittente canadese CTV: “Generalmente non amiamo avere a che fare con la polizia direttamente, ma in questo caso ci siamo sentiti nell’obbligo di utilizzare le nostre capacità per proteggere i minori. Questa è una storia a cui non siamo indifferenti“.

Sul gruppo Facebook è stato anche diffuso il nome del presunto cyberpedofilo che ha dato l’avvio alla catena di odio. Ma in seguito alle opportune indagini la polizia ha ritenuto che la segnalazione fosse falsa. Nel frattempo un uomo di nome Aydin Coban è stato condannato per aggressione sessuale, frode e ricatto via Internet, grazie alla polizia olandese. Una delle sue vittime risulta essere Amanda, infatti tra i capi d’accusa ce ne sono cinque relativi al caso della ragazza.

L’uomo verrà estradato in Canada non appena avrà scontato la sentenza olandese di 10 anni e 8 mesi. Carol Todd ha ringraziato la polizia, ma ha affermato che purtroppo i persecutori di sua figlia sono in numero ben più elevato. Nel frattempo il video di Amanda è diventato il più grande documento di denuncia del bullismo.

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