Troppo Comodo Firmarsi “Dirigente Scolastico Democratico” Quando si Esercita un ‘Potere Assoluto’ nella Scuola

Le istituzioni scolastiche italiane, pur immerse nel contesto di una nazione che si definisce democratica, sembrano presentare un quadro organizzativo che solleva interrogativi sulla reale applicazione dei principi democratici. Le numerose riforme che si sono succedute nel tempo hanno, inaspettatamente, portato a una concentrazione di potere nelle mani dei dirigenti scolastici, i cosiddetti DS.

Una delle criticità risiede nel fatto che i presidi hanno un’autorità decisoria ampia, potendo nominare collaboratori, lo staff dirigenziale, e influenzare la formazione delle cattedre e l’orario degli insegnanti. Questo potere si estende anche alla redazione del Piano di Miglioramento, da cui deriva il Piano Triennale dell’Offerta Formativa (PTFO). In pratica, si trova in una sola persona la responsabilità di determinare chi guiderà l’istituzione e come verranno allocati i limitati fondi a disposizione delle scuole.

Le istanze democratiche, rappresentate dal consiglio d’istituto e dal collegio docenti, sembrano depauperate di ogni ruolo significativo, costrette ad approvare scelte spesso imposte con “maggioranze bulgare,” evidenziando una situazione che richiama le pratiche delle peggiori dittature.

Un ulteriore elemento di preoccupazione riguarda il controllo effettivo del lavoro dei DS. La mancata adozione del “cartellino” e la limitata presenza fisica nelle scuole sollevano interrogativi sul reale impegno nel processo educativo. La concentrazione sulla burocrazia, a scapito della formazione degli studenti, sembra essere una priorità distorta.

In un paese che si vanta di essere democratico, è paradossale che una figura dirigente, con limitati controlli, detenga un potere così vasto sul destino di un’intera istituzione scolastica. L’assenza di una riflessione critica sul ruolo e sulle modalità di nomina dei DS durante le varie riforme degli ultimi anni è sorprendente.

Sarebbe forse opportuno considerare un approccio più democratico nella scelta dei dirigenti, ad esempio attraverso elezioni per un mandato temporale definito (ad esempio 5 anni), limitato a due mandati (10 anni), analogamente ai rettori universitari. Questo approccio ridurrebbe l’influenza delle lobby e delle posizioni di potere, garantendo al contempo un ricambio generazionale costante e evitando reggenze prolungate.

L’implementazione di un simile cambiamento non sembra essere insormontabile. La media di età dei DS è elevata, con molti prossimi alla pensione. In un arco di 10 anni, si potrebbe agevolmente attuare una transizione verso un sistema di nomina più democratico. I dirigenti più giovani potrebbero essere trasferiti in altri incarichi negli uffici territoriali o agire come ispettori del Ministero, garantendo al contempo un possibile risparmio economico.

In conclusione, la riflessione su un processo decisionale più aperto e democratico per la nomina dei dirigenti scolastici potrebbe rappresentare un passo significativo verso un sistema educativo più equo, efficiente e in sintonia con i valori democratici che l’Italia dichiara di abbracciare.

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