Vi chiederanno di raccontare questi giorni. E voi tornerete indietro con la vostra memoria e vi emozionerete.
Direte che eravate molto giovani, che all’inizio la questione era stata sottovalutata, che a scuola se ne parlava con un po’ di paura e con qualche battuta per sdrammatizzare. Racconterete che dicevano di stare a un metro gli uni dagli altri ma che in classe era impossibile e che poi rimanemmo tutti a casa per mesi.
Pronuncerete il nome di Conte, ricorderete le videochiamate con i professori e le vostre marachelle a telecamera spenta.
Sentirete di nuovo l’odore del ciambellone e del pane fatti in casa.
Vedrete le bandiere che si agitavano nell’aria seguendo il ritmo della musica dei violini alle finestre e descriverete nei dettagli le canzoni, i sentimenti, le azioni che accompagnavano le vostre giornate divenute d’un tratto noiose.
La voce si spezzerà pensando ai morti, alla paura, alle strade deserte, alla solitudine, ai medici e agli infermieri, novelli eroi di un Paese in ginocchio.
E poi subito dopo sorriderete pensando agli animali che approfittavano dell’assenza dei fastidiosi coinquilini umani per riprendersi spazi, piazze e fontane; sorriderete pensando all’ironia e alla forza degli italiani che riuscivano a non cedere all’angoscia pubblicando vignette e video divertenti.
Vi tornerà in mente che dicevamo “Andrà tutto bene” quando le cose andavano male.
La Storia, ragazzi, la Storia è questa.
Sui libri ci saranno le immagini di Milano, di Giuseppe Conte, degli arcobaleni, degli operatori sanitari, dei camion militari di Bergamo.
Immagini del vuoto, dell’assenza, della mancanza, del lutto. Immagini di un’umanità ferita, fragile e disorientata.
E su tutte, una spiccherà per potenza e maestosità: quella che ritrae un uomo anziano vestito di bianco, da solo, in mezzo ad una Piazza San Pietro plumbea, silenziosa, illuminata dal riverbero delle luci sulle pozzanghere, che abbraccia l’umanità intera che tiene il fiato sospeso, che resiste e che spera.