Dirigenti Scolastici Fuori Sede Dicono Basta: “Ministro, Non Siamo un Esperimento Sociale, Vogliamo Tornare a Casa”

Egregio Signor Ministro, sono un dirigente scolastico, davanti ad un foglio bianco. E sfido chiunque, in questa condizione, a non sentirsi un po’ studente.

Ho deciso, dopo tanti tentennamenti, di scriverle per raccontarle, con nuove parole, una storia che già conosce. È la storia di uomini e donne che hanno partecipato al concorso nazionale per dirigenti scolastici e sono stati immessi in ruolo, nel 2019, in regioni, molto spesso, distanti dal proprio territorio d’origine.

Si è parlato molto di scuola, in questi tre anni di pandemia, forse, non altrettanto del nostro ruolo così complesso, delle difficoltà che abbiamo dovuto affrontare, della necessità di essere faro, presenza, guida, per le nostre scuole, per il nostro personale, per le famiglie, per gli alunni.

Sa, Signor Ministro, noi siamo rimasti in piedi. Noi non abbiamo abbandonato la nave. Noi abbiamo fatto fronte all’emergenza reinventando quotidianamente il nostro ruolo, con il cuore e l’occhio a tutto ciò che avevamo a chilometri di distanza, le nostre famiglie, gli affetti più cari e, in tanti casi, i figli, quelli che abbiamo cercato, ogni giorno, per tre anni, negli sguardi dei nostri studenti, che abbiamo confortato, supportato, sostenuto, sperando che qualcuno facesse lo stesso con i nostri, lontani da noi.

Ecco, Signor Ministro, i tre anni sono trascorsi. Mai, prima di noi, un concorso nazionale per dirigenti scolastici e, a ciò che si dice, mai, dopo di noi. Siamo stati un esperimento sociale, mettiamola così. Adesso, però, dobbiamo poter tornare a casa. Il triennio è scaduto.

Le chiedo, allora, che venga adottato un piano per prevedere il nostro rientro nelle regioni di appartenenza dove c’è bisogno di noi, esattamente quanto ce n’è stato in questi territori che ci hanno accolto, ospitato e, in alcuni casi, adottato come figli.
Non voglio perdermi nei meandri di panegirici inutili sui perché e sulle responsabilità delle scelte precedenti che hanno determinato situazioni al limite del paradosso di dirigenti immessi, uno o due anni dopo di noi, con la sede sotto casa, non voglio neanche soffermarmi sugli inesistenti benefici economici di chi è costretto a pagare un affitto, quando ha già un mutuo sulle spalle, di chi arriva a fine mese con in tasca gli stessi soldi di quando era un docente, ma con la testa carica di responsabilità quadruplicate: io vorrei solo una risposta, adesso, che si trasformi in un’azione concreta.

Il limite del 30% dei posti per i trasferimenti interregionali non è applicabile a chi, come noi, ha vinto un concorso nazionale, quel trenta deve diventare cento, altrimenti, saremo “fuori sede” a vita.

Ministro, ho scelto di fare questo lavoro perché credo profondamente che l’istruzione sia l’unica arma per sconfiggere le iniquità: non voglio credere di essere io stessa un ingranaggio di un ingiusto meccanismo che non mi consente di riavvicinarmi ai miei figli e di vederli crescere, con me al loro fianco.
La ringrazio per l’attenzione.

Una dirigente scolastica, una come tanti

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