La Storia del Piccolo Tommy, il Rapimento che Ha Sconvolto L’Italia

In una gelida sera di marzo del 2006, a Casalbaroncolo, vicino Parma, la famiglia Onofri – Paolo, sua moglie Paola, Sebastiano, 7 anni e il piccolo Tommy, 17 mesi – è seduta a tavola per cena. All’improvviso va via la luce. Paolo, dopo aver acceso le candele sul tavolo, esce dalla stanza diretto verso l’interruttore per verificare il guasto, ma torna indietro con un balzo, respinto da qualcuno.

Due uomini con il volto coperto fanno irruzione nella stanza. Uno dei due punta una pistola sulla nuca di Tommy, mentre l’altro intima agli Onofri di dargli dei soldi. La coppia mette insieme 150 euro e li consegna ai due malviventi, poi vengono fatti sdraiare sul pavimento e legati con il nastro adesivo.

Sentono i ladri fuggire, ma distesa a terra Paola intravede i piccoli piedini di Tommy che si allontanano. Non era una rapina, era un rapimento. Ben presto i carabinieri pattugliano la zona e l’indomani in tutta Italia si parla del rapimento del piccolo.

piccolo Tommy

I genitori rivolgono diversi appelli pubblici dando a chiunque tenesse Tommy in ostaggio precise istruzioni su come accudirlo, dal momento che il piccolo è epilettico e assume quotidianamente un farmaco con una siringa senza ago.

Ma negli occhi della coppia si legge la consapevolezza che quel bimbo cagionevole non può sopravvivere nelle mani di estranei. Intanto gli inquirenti cominciano a farsi alcune domande. Se quello è un rapimento a scopo di estorsione si chiedono a quali soldi mirano i sequestratori, visto che gli Onofri non sono una famiglia ricca. Paolo dirige un ufficio delle Poste Italiane e anche Paola lavora alle Poste.

Una delle prime piste investigative seguite, a quel punto, è quella della ritorsione. Gli inquirenti vagliano la posizione del secondo marito di Francesca Traina, la prima moglie di Paolo Onofri, ma è una strada che però non porta a niente. Vengono invece approfonditi altri aspetti del privato degli Onofri. Esiste un immobile che Paolo usa come pied-à-terre a solo un chilometro da dove lavora, in Via Jacchia, quartiere Montanara, acquistato nel 2002, senza dirlo neanche alla moglie Paola.

Al suo interno i carabinieri trovano un personal computer con 391 fotografie, 92 file e decine di filmati contenenti materiale pedopornografico. Paolo Onofri dichiara che stava raccogliendo del materiale per una denuncia. Gli inquirenti gli offrono di accettare una reprimenda in cambio della piena collaborazione sul caso del rapimento di Tommy. Onofri rifiuta e ha inizio l’indagine che finirà con un patteggiamento.

Il papà di Tommy da quel momento diventa un personaggio ambiguo, anche a causa di una telefonata scambiata con il capocantiere che aveva eseguito i lavori di ristrutturazione del casolare di famiglia. Dopo il sequestro Pasquale Barbera chiede a Onofri: “Hai fatto i nomi?“. “Sì, ho fatto i nomi, ma non quei nomi” risponde Paolo. “Hai fatto bene se no mi avresti creato problemi“. Gli operai che hanno eseguito i lavori in casa Onofri vengono a trovarsi al centro delle indagini e fondamentale si rivela il ritrovamento di un’impronta su un frammento di nastro adesivo lasciato la sera del rapimento di Tommaso.

Il manovale Mario Alessi viene indagato per falsa testimonianza e concorso in sequestro. Quell’uomo ha un passato raccapricciante: è stato condannato agli arresti domiciliari per aver violentato una ragazza davanti al fidanzato carabiniere, che aveva costretto ad assistere. Alessi confessa di aver rapito Tommy, ma non vuole dire dov’è e parla di un complice, il pregiudicato Salvatore Raimondi. Le impronte sullo scotch sono sue. Dopo aver negato di aver toccato il bambino, infine, Alessi ammette: “Non cercatelo più, è morto. È stato ucciso un’ora dopo essere uscito di casa“.

La notizia viene data dal telegiornale in un’edizione straordinaria, prima che la famiglia sia stata avvertita e Paola lo scopre così. La donna in cuor suo sapeva, da quando lo aveva visto portare via dal casolare, che non lo avrebbe rivisto mai più. Con la complicità della compagna Antonella Conserva e di Raimondi, Alessi voleva rapire il bimbo e chiedere ai familiari un riscatto di 5 milioni di lire. Dopo aver preso Tommy, però, qualcosa è andato storto e Alessi, rimasto solo col piccolo, lo ha ucciso, strangolandolo fino a fratturargli la mandibola e prendendolo a calci e a pugni. Il movente è impossibile da stabilire.

Il tribunale di Bologna condanna all’ergastolo gli esecutori materiali e a 24 anni Antonella Conserva. Il corpo di Tommy viene ritrovato a Sant’Ilario D’Enza, in una discarica di materiali edili. Medici, poliziotti, magistrati arrivano sul posto indicato da Alessi. Per cercare il corpicino sotto rovi e sterpaglie gli agenti usano un forcone, che conficcano nel terreno con delicatezza, quasi nel timore di fare male al piccolo.

Alla fine, sotto 30 centimetri di terra spunta il pigiamino di Tommy. Il corpicino è intatto, la terra lo ha protetto dalle intemperie e dagli animali selvatici. La famiglia di Tommy è distrutta, le indagini hanno sventrato le loro vite, i segreti sono stati svelati, la fiducia reciproca è venuta meno per sempre. Qualche anno dopo Paolo Onofri morirà di infarto.

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