L’Insegnante Non Può Basare La Sua Didattica sulla Competitività degli Studenti Perché Taglia Fuori i Più Sensibili

Ci si pone sempre più di fronte alla problematica del metro di misura nelle aule scolastiche. Quanto appunto la valutazione scolastica possa prescindere dal profitto, dai voti. E quanto sia problematico quando il profitto diventa l’unico metro di misura dell’insegnamento, quando un ciclo d’istruzione ha come suo fine ultimo solo ed unicamente il voto.

A trattare quest’argomento e a farci soffermare su queste problematiche oggi viene in nostro aiuto Paolo Crepet, psichiatra e sociologo. Si tratta di uno di quei professori a favore dell’insufficienza e della bocciatura come strumenti formativi. E ci dà da riflettere proprio con le parole del suo libro “Non siamo capaci di ascoltarli. Riflessioni sull’infanzia e l’adolescenza” (Einaudi, 2006), in cui dice:

Ti voglio bene se prendi tutti nove, altrimenti te ne voglio di meno…

Quei genitori comunicano, senza saperlo disistima. Ai bambini Abarth viene negato il diritto fondamentale che ogni essere umano acquisisce nel momento in cui viene al mondo: il diritto all’amore e all’accettazione incondizionati dei suoi genitori.

Il danno psicologico più consistente non deriva solo dall’essere costretti a primeggiare nello studio per venire amati ed accettati, ma anche dall’errore madornale che quei genitori commettono affidando al rendimento scolastico la valutazione complessiva del loro figliolo.

competitività degli studenti

Si tratta di un pensiero basato su una tautologia: se si va bene a scuola vuol dire che si è bravi, e questo giudizio non ha bisogno di altre conferme; se si va male, non è nulla di lui o di lei che possa salvarsi.

Ora, a parte il fatto che la scuola italiana è del tutto inadeguata a valutare complessivamente un bambino o un adolescente, come non capire che è ingiusto costringere i nostri figli a essere rappresentati da una pagella? Basterebbe pensare alla creatività: se la scuola non sa come valutarla, i genitori rischiano di non apprezzarla nei figli, i quali a loro volta la riterranno del tutto marginale nella valutazione di sé.

Si pensi altrimenti all’esame di maturità: la scuola è in grado di fornire un giudizio complessivo del candidato? E se avessimo la pretesa di fare “l’esame di maturità”, gli insegnanti sarebbero in grado di formulare un giudizio? Potremmo affermare chi ha tradotto alla perfezione dal greco o dall’inglese è perciò stesso da considerarsi una persona matura?

A volte il giovane Abarth si blocca, il suo motore truccato si guasta e gli effetti possono essere dirompenti. Spesso accade alla fine di un ciclo scolastico: egli sente di aver perduto l’unico terreno ove potersi guadagnare l’affetto e la considerazione degli adulti, teme di non esistere più. Tende allora a odiarsi, a disprezzarsi, ritiene di avere fallito. Arriva a dubitare delle reti amicali.

Persino il rapporto con l’altro sesso rischia di diventare terreno incerto, insidioso. Molti dei percorsi che portano un adolescente a farsi del male nei tanti modi possibili iniziano da una perfezione forzata, da una coesione all’assoluto. Genitori, insegnanti, allenatori, preti hanno un ruolo e una responsabilità: la competizione non è per tutti e soprattutto non seleziona i migliori, solo i meno sensibili.

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