In quanti possono affermare con assoluta sincerità di saper riconoscere un complemento d’agente oppure uno di causa efficiente? O ancora, quante persone che ormai sono fuori dall’ambito scolastico saprebbero risolvere un’equazione?
Lo so, l’imbarazzo potrebbe aumentare leggendo queste righe, ma sicuramente dimostrano qualcosa: quello che si impara a scuola, spesso, finisce per scomparire senza lasciare più traccia.
Come se non bastasse, le nozioni sono state apprese in maniera così meccanica durante l’età scolastica che nemmeno utilizzando il ragionamento è possibile risolvere alcune delle domande più banali a cui saprebbe rispondere un ragazzo appena uscito dalle scuole medie (attenzione, le saprebbe risolvere perché ha ancora tutte le nozioni imparate a memoria!).
È qui che entra in gioco la frustrazione degli insegnanti, una bastonata in pieno collo che li demoralizza giorno dopo giorno: buona parte di quello che insegnano a scuola non serve a nulla.
Lo so, può sembrare un’affermazione alquanto cinica ma si sta dimostrando sempre più veritiera tant’è, come ha affermato il compianto Giorgio Israel, i ragazzi studiano solamente per superare le prove che gli vengono proposte: quel che conta è il voto sul foglio, non quanto si è appreso.
Insomma, quello che i docenti insegnano viene rimosso dagli studenti nel momento in cui è stata effettuata la verifica su quel determinato argomento. Le ore e gli sforzi che gli insegnanti hanno utilizzato per far comprendere meglio determinati argomenti finiscono nel cestino dei rifiuti.
Anche lo studio del latino a scuola sta perdendo colpi, dal momento che ormai tutte le versioni proposte possono trovarsi facilmente sul Web (con somma gioia dei professori, aggiungerei, che ora non devono più leggere strafalcioni e frasi sconnesse). Il lavoro di traduzione era utile per “aprire la mente” ma di fatto ormai non ha più una sua utilità se quanto fatto in precedenza viene completamente rimosso.
Molti degli studi che sono effettuati a scuola prevedono un apprendimento meccanico, senza un minimo di elaborazione da parte dello studente, che si limita ad imparare a memoria le nozioni per poi ripeterle al professore di turno senza aver realmente compreso nulla. Si va quindi a sviluppare nel ragazzo una sorta di meccanismo di autoverifica in cui, se quello che ripete è uguale a quanto scritto sul manuale, allora è giusto. Nello stesso modo, se si risolve un’espressione matematica ed il risultato è uguale a quello del libro, va tutto bene, poco importa se sono state utilizzate meccanicamente le nozioni senza aver compreso i processi che si celano dietro alla soluzione.
In conclusione: come è possibile risolvere la questione? Sollecitare i professori può essere uno sforzo inutile, poiché si cambierebbe solo una percentuale ridotta dei docenti. Il cambiamento deve avvenire nel processo di formazione didattica ed educativa dei docenti. Il processo evolutivo deve partire dalla radice.
LETTURA CONSIGLIATA
(clicca qui per leggere un estratto):
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In linea di principio sono d’accordo. Sono gli esempi che avete utilizzato a non trovarmi d’accordo. Complemento d’agente e di causa efficiente: ma di che cosa stiamo parlando? Nemmeno Francesco Sabatini utilizza più questa nomenclatura così meccanica e farraginosa (e infatti utilizza la molto più utile teoria valenziale del verbo e della frase). Il Latino? Per forza è in crisi, lo è dai tempi di Pascoli. E’ il metodo prussiano utilizzato che è stato un fallimento e che generazioni di docenti hanno utilizzato per torturare i discenti. C’è una celebre pagina di Thomas Mann dove si racconta dei sudori freddi di uno studente interrogato su una lirica di Orazio. Ripeto, la premessa è giusta ed è condivisibile, ma è la restauratio magna che proponete che mi lascia molto perplesso.